aprile 21 giugno settembre febbraio
da un seme raccolto nel 1979 alla base dei Ginkgo di piazzale degli alpini a Bergamo
piantato in un vaso da operatori dell' Orto Botanico " Lorenzo Rota " di Bergamo
assistito, protetto e accudito
oggi
si presenta così
alla bella età di 33 anni !
da: http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=39061
Vi è mai capitato di ammirare
un Ginkgo Biloba?
Siamo certi di sì; non è poi così raro incontrare questo magnifico albero dal
tronco possente, dalla chioma espansa e dalle foglie caratteristicamente divise
in due lobi (da cui il suo nome) in qualche giardino o in qualche viale alberato
di periferia.
È originario della Cina, nella cui lingua viene designato col nome di “albicocco
d’argento”: rappresenta l’unica specie tuttora vivente della famiglia delle
Gingkoine.
La sua classificazione è recente, poiché data appena dal 1898; mentre il primo a
descrivere accuratamente questo albero bello e strano è stato il botanico e
naturalista tedesco Engelbert Kaempfer (1651-1716), che ebbe l’occasione di
viaggiare a lungo nei Paesi dell’Estremo Oriente.
I suoi semi non sono protetti dall’ovario: quindi, nonostante le apparenze, non
appartiene alle Angiosperme, ma alle più antiche e primitive Gimnosperme, le
piante che dominarono la superficie terrestre in tempi antichissimi.
Quanto antichi, esattamente? Ebbene, si stima che il Ginkgo non abbia un’età
inferiore ai 250 milioni di anni, vale a dire che risale ai primi tempi del
Triassico, la più antica delle epoche del Mesozoico e quasi ai confini del
Permiano, ossia del Paleozoico.
Un’antichità semplicemente impressionante: diciamo che il Ginkgo è un albero
che, in base alle teorie evoluzioniste, presentate come verità sacrosanta da
Darwin in poi, NON DOVREBBE NEPPURE ESISTERE, perché il semplice fatto della sua
esistenza suona come una nota stonata nel bel concerto che quei signori ci
stanno suonando da un secolo e mezzo.
Duecentocinquanta milioni di anni sono, geologicamente parlando, un tempo
enorme: basti dire che la quasi totalità del paesaggio vegetale, così come noi
oggi lo vediamo e lo conosciamo, non risale più indietro delle ultime
glaciazioni del Quaternario, che coprono un periodo misurabile solamente in
alcune migliaia di anni.
La scoperta del Ginkgo come specie vivente fu talmente sbalorditiva da lasciare
a bocca aperta i botanici che per primi si imbatterono in questo imbarazzante
“fossile vivente”: fino a quel momento, lo si conosceva solo attraverso le
testimonianze paleontologiche.
Fu tale il rumore per il “ritorno” di quest’albero possente, che può innalzare
la vetta fino a quaranta metri d’altezza ed è sacro ai monaci buddhisti, che il
sommo Goethe volle dedicargli una poesia, traboccante di estatica ammirazione.
Si dice anche che un antico Gingko rimase calcinato, ad Hiroshima, dal
bombardamento atomico del 1945, in mezzo a un desolato paesaggio di case
annerite e distrutte; ma che, appena tre anni dopo, delle foglioline
cominciarono a spuntare dai suoi rami ed oggi quest’albero meraviglioso è
effettivamente rinato, testimoniando una forza e un amore per la vita che ha
saputo trionfare della peggiore catastrofe mai prodotta nella storia mondiale
dalla follia umana.
I Gingko presenti oggi in Italia derivano tutti, probabilmente, da quelli
introdotti per la prima volta nell’Orto Botanico di Pisa; e, anche se non
raggiungono le straordinarie dimensioni dei luoghi originari, ove il loro
diametro assume proporzioni paragonabili a quelle delle gigantesche sequoie
nordamericane, rappresentano comunque un elemento di straordinaria bellezza nel
paesaggio vegetale, con una nota indefinibile di esotismo, non tanto un senso
geografico, quanto in senso temporale.
Dicevamo che il Gingko Biloba appartiene a una delle quattro classi che formano
le Gimnosperme (e quindi non possiede fiori, nel senso che comunemente diamo a
questo termine, ma delle strutture chiamate coni o strobili); le altre tre sono
le Pteridosperme o Cicadopside, le Conifere e le Gnetali.
Le Pteridiosperme sono le più interessanti per la loro antichità e perché
comprendono forme che si avvicinano, per molti aspetti, alle Felci, altre piante
decisamente arcaiche.
Insieme alle Alghe, ai Muschi e ai Licheni, le Felci sono piante che non si
riproducono per mezzo di semi, ma di spore. Come negli Equiseti, nelle Felci si
osserva l’alternanza di una generazione sessuata (gametofitica) e di una
generazione asessuata (sporofitica).
Dei quattro ordini che compongono le Pteridosperme, due, le Pteridospermali e le
Cicadofilicali, si sono estinte alla fine del Permiano, circa 250 milioni di
anni fa; un altro, quello delle Bennettitali, si è estinto più tardi, verso la
fine del Cretaceo (e quindi del Mesozoico), circa 65 milioni di anni fa; infine
l’ultimo, quello delle Cicadali, è sopravvissuto fino ad oggi ed è rappresentato
dalla bellezza di circa quaranta specie viventi.
Di queste, alcune sono coltivate nei nostri Paesi a scopo ornamentale, ma in
genere provengono dall’Asia orientale e dall’America tropicale.
Le Conifere comprendono due ordini: quello delle Cordaitali, estinto alla fine
del Permiano (come le Pteridospermali) e quello delle Coniferali, tuttora ben
prospero e formato da qualcosa come 600 specie: singolare mescolanza, dunque, di
forme preistoriche e di forme viventi.
La classe delle Gnetali è comparsa alla fine del Paleozoico (circa 248 milioni
di anni fa) e sembrerebbe fare da ponte fra le Gimnosperme e le Angiosperme; vi
appartengono specie estremamente rare e interessanti, come la “Welwitschia
mirabilis” del deserto del Nambi (in Namibia, ex Africa Sudoccidentale tedesca),
formata da sole due foglie pelose a continuo accrescimento, che possono
raggiungere la lunghezza spropositata di parecchi metri.
Scoperta dal ed esploratore botanico austriaco Friederich Welwitsch (1806-1872),
fra le altre stranezze questa pianta è difficile da classificare come un’erba o
come un vero e proprio albero, possedendo anche una parte legnosa; alcuni
esemplari viventi sono così antichi che, in lingua afrikaans, essa viene
denominata “la pianta che non può morire”.
La datazione col metodo del Carbonio 14, infatti, ha indicato, in taluni casi,
un’età non inferiore ai 2.000 anni: ciò significa che si tratta degli esseri
viventi più antichi che si conoscano in natura; esseri che già affondavano le
radici nell’arido terreno presso la foce del fiume Cunene, quando Giulio Cesare
celebrava il trionfo su Vercingetorige dopo la conquista della Gallia
transalpina e quando Gesù Cristo predicava la sua dottrina nella Giudea, al
tempo del procuratore romano Ponzio Pilato.
La classe delle Gingkoali, infine, comprende un solo ordine, originario
probabilmente del Paleozoico, ma affermatosi nel Mesozoico; e, come si è visto,
una sola specie vivente: il Gingko Biloba, domestico in Cina e in Giappone.
Scrivono il paleontologo I. M. Van Der Vlerk, già docente all’Università di
Leida, e il geologo Ph. H. Kuenen, già professore all’Università di Groninga,
entrambi membri della Reale Accademia olandese delle Scienze, nel libro
«Giornale di bordo della Terra. La ricostruzione della preistoria geologica del
pianeta Terra» (titolo originale: «Logboek der Aarde», Hilversum, W. De Haan;
traduzione italiana di Luigi Castiglione, Milano, Editrice Massimo, 1972, pp.
208-10):
«[Nel Carbonifero], fra le piante fossili già collocate sotto il nome di
“felci”, compaiono anche delle piante che hanno sì delle foglie come le felci,
ma che si sono apparentemente riprodotte per mezzo di “semenze”. Si tratta delle
Pteridosperme. Non è a caso che abbiamo posto tra virgolette il termine
“semenza”. Infatti, si tratta sempre di sapere se davvero queste piante avevano
delle semenze. Il fatto che non sia mai stato trovati un germe che non sia un
embrione,dà infatti adito a qualche sospetto. Proprio per questo, alcuni
ritengono che il bottone seminale abbia direttamente dato i natali ad un nuovo
individuo, che non avrebbe in tal caso conosciuto lo stadio intermedio della
“semenza”.
Mentre queste “felici a semenza” erano apparse già durante il Devoniano
superiore e non erano comparse che durante il Permiano inferiore, apparve “un
po’ più tardi” sulla Terra cioè nel Carbonifero inferiore, un gruppo di piante
di cui vale ugualmente la pena di interessarci. Intendiamo parlare delle
Cordaite, alberi da 30 a 40 metri di altezza, le cui foglie potevano raggiungere
un metro di lunghezza e ed una larghezza di venti centimetri. Questi alberi sono
arrivati a resistere per un tempo molto più lungo delle Pteridosperme, e cioè
fino all’inizio del Trias. La cosa più curiosa è che questi grandi alberi
differivano totalmente nel loro aspetto esteriore dalle Pteridosperme e
presentavano, per quanto concerne le “semenze”, una forte rassomiglianza con
questo gruppo vegetale.
Un altro gruppo vegetale oggi scomparso, che fece la sua apparizione più tardi,
è quello delle Bennettitine (Permiano-Cretaceo). Queste piante occuparono nella
flora giurassica un posto predominante, che non dovettero cedere alle Conifere
che durante il periodo Cretaceo. Esteriormente, esse avevano molto delle
Cicadine che vivono attualmente nelle contrade tropicali e subtropicali, ben
conosciute per il fatto che i loro rami secchi servono a confezionare delle
corone mortuarie. Esiste tuttavia una differenza fondamentale tra le
Bennettitine e le Cicadine. Mentre in queste ultime gli organi di riproduzione,
maschi e femmine, sono separati gli uni dagli altri, nelle Bennettitine essi
erano riuniti in un solo fiore.
Questi tre gruppi scomparsi formano, con le Cicadine, le Gingkoine e le
Conifere, che noi conosciamo ancora attualmente, quelle che, nella nuova
nomenclatura, sono chiamate Mesocormofite. In questi tre gruppi, la Gingko,
chiamata da Darwin “il fossile vivente”, non è più rappresentata, nella flora
recente, che da una sola specie, la “Gingko Biloba”. È l’albero sacro dei
buddhisti. Anche nei nostri paesi, è usata come essenza ornamentale. Constatiamo
con stupore che questi tre gruppi recenti hanno fatto anche presto la loro
apparizione sulla Terra. Le Cicadine datano probabilmente dal Carbonifero; le
due altre, la Gingko e le Conifere, datano probabilmente dal Devoniano. Questo
significa che, se vogliamo stabilire la parentela esistente tra le specie
disperse e quelle tuttora esistenti, occorrerà cercar loro un antenato comune
che sia vissuto prima del Devoniano, Da quell’antenato si sono sviluppate le
Gingko, le Conifere e le Cordaiti. Per le Cicadine, pensiamo che esista una
parentela, da una parte con le Pteridosperme, dall’altra con le Bennettitine.
Non vi è neppure da escludere una serie evolutiva
Pteridosperme-Cicadine-Bennettitine.»
Ed ecco i nostri evoluzionisti alle prese con un bel problema.
Il Ginkgo, dunque, svettava nei boschi del Mesozoico all’epoca dei grandi
Dinosauri ed era contemporaneo di creature animali dalla taglia gigantesca, che
si aggiravano nelle foreste di Gimnosperme oltre 200 milioni di anni fa.
Le scomode testimonianze naturalistiche dei cosiddetti “fossili viventi”,
peraltro, non provengono solo dal mondo vegetale, ma anche da quello animale.
A suo tempo abbiamo rievocato la sensazionale riscoperta, nel 1938, nelle acque
sudafricane, del Celacanto, un pesce primitivo (“Latimeria Chalumnae”), cui
alcuni paleontologi assegnano un’età di 65 milioni anni, mentre altri spingono
indietro questa datazione fino a 300 e persino a 400 milioni di anni fa (cfr.
«La resurrezione del Celacanto, fossile vivente dei mari», consultabile sui siti
di Edicolaweb e di Arianna Editrice).
Ma l’elenco dei fossili viventi sarebbe lungo e potrebbe continuare per un
pezzo: a cominciare da due specie viventi, gli squali e i coccodrilli, che siamo
abituati a considerare senza stupore, mentre invece la loro presenza dovrebbe
destare in noi la più grande meraviglia, dal momento che non mostrano
significative differenze con i loro congeneri fossili che hanno lasciato traccia
di sé nelle rocce di 300 milioni di anni fa.
Crediamo ce ne sia abbastanza per autorizzare la domanda: se l’evoluzionismo è
diventato non più una teoria scientifica come un’altra, ma la verità ufficiale
della scienza biologica moderna, come va che specie viventi, sia vegetali che
animali, sono rimaste perfettamente identiche a se stesse per decine e centinaia
di milioni di anni, arrivando vive e vegete fino a noi, in barba a tutte le
affermazioni dei solerti darwinisti e neo-darwinisti?
Come mai queste specie non sono scomparse, non si sono radicalmente trasformate
in nuove specie, totalmente diverse da quelle originali?
Come è possibile che, negli stessi ambienti naturali e con le stesse condizioni
climatiche che avrebbero determinato l’evoluzione e la trasformazione di tutte
le altre specie, queste, invece, sono rimaste “ferme”, immobili, spaventosamente
fedeli alle proprie forme originarie?
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a caccia di parole
non conosciute ancora ( rubrica )
ERA, prearcheozoica, archeozoica, primaria o paleozoica, secondaria o mesozoica, terziaria o cenozoica, quaternaria o neozoica . . . Aztechi, Maya, Incas, . . .
...è dall' acqua che la vita sorge
con moto incessante adattamento porge
un creatore o il caso conflitto estorce
per chi sopravvive figliolanza or' c' è
e chi saprà leggere quel che occorre
ordinerà l' ALT al tempo che scorre !